Matteo Romani 3BS
Oggetto: Riflessione
Desidero elogiare la decisione di tutti quei medici che hanno scelto di tornare in prima linea nella lotta contro il coronavirus nonostante siano in pensione o che abbiano nel corso della loro vita effettuato scelte diverse (sindaci, preti o olimpionici).
Il primo cittadino di Botricello, il Sig. Ciurleo, professione cardiologo ormai in pensione, non se l’è sentita di lasciare i suoi colleghi medici del Nord a lottare questa dura battaglia da soli sfinendosi con turni massacranti. Ha maturato la scelta di re-indossare il camice vedendo le tristi immagini di sofferenza degli ammalati che vengono trasmesse in televisione e della stanchezza di tutti quei medici che con abnegazione hanno abbracciato questa causa.
Don Fabio Stevanazzi, anni 48, è sacerdote della parrocchia di San Cristoforo a Gallarate. Ma non è sempre stato un prete. La vocazione l’ha maturata dopo aver lavorato per più di dieci anni come medico internista al Pronto soccorso. La chiesa è chiusa ormai da tanto tempo ma lui ha avvertito la necessità di dare un suo personalissimo aiuto alla comunità tornando a fare il dottore. Destinazione: l’ospedale di Busto Arsizio per essere vicino a tutti coloro che stanno lottando contro un nemico tanto invisibile quanto letale.
Matteo Villani, 37 anni, è un ex azzurro dell’atletica italiana arrivato alle Olimpiade di Pechino nel 2008, due volte campione italiano assoluto nei 3000 siepi, laureatosi in Medicina all’università di Modena e Reggio due mesi dopo le Olimpiadi. Oggi è impegnato come anestesista nel reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Maggiore di Piacenza: uno degli ospedali maggiormente sotto pressione in questa emergenza. Lavora ininterrottamente insieme ai suoi colleghi anche per 14 ore al giorno e quando il turno finisce, se c’è bisogno, rimane ad aiutare, come se andare a casa fosse una colpa.
E poi ricordiamo Gino Fasoli 73 anni, ex frate laureatosi in medicina; dottore da un curriculum permeato da molteplici esperienze. È rimasto contagiato dal Covid-19 ed è purtroppo deceduto. Lo avevano richiamato, viste le sue conoscenze e competenze, per dare una mano per l’emergenza coronavirus. Non ha avuto alcuna esitazione e, nonostante fosse del tutto consapevole di essere a rischio (considerando l’età), ha accettato immediatamente. Era in pensione, quella fase della propria vita in cui ci si dedica finalmente a sé stessi.
Riflettiamo.
La loro non è solo una resistenza fisica ma anche mentale: si trovano dinanzi a pazienti che possono aiutare con i pochi mezzi che hanno a disposizione dal momento che il virus è pressoché nuovo e sconosciuto. Ogni giorno vedono persone ammalarsi ed aggravarsi, persone che fino al giorno prima erano sane e che ora si possono aiutare solo attraverso farmaci e altri tipi di supporti perché una cura precisa non c’è ancora. Il loro encomiabile lavoro consiste nel cercare di mantenere le funzioni vitali del paziente il tempo necessario per permettere al suo sistema immunitario di rispondere e quando finalmente ci riescono è una vittoria per tutti che li ripaga degli sforzi compiuti.
Hanno paura? Ovvio. Come ho già scritto combatti un nemico invisibile. Ma chi decide di fare il medico non smette mai. E’ una vocazione. E a loro scorre nel Dna.
Grazie.
“Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno.”
MARTIN LUTHER KING